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L’ITALIA, IL NORDAFRICA E IL “PIVOT TO ASIA”

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A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha attuato una politica estera rivolta al sud del Mediterraneo che, nel corso dei decenni, più di una volta ha indispettito il nostro alleato statunitense. L’alleato atlantico, probabilmente, non ha mai compreso ed accettato fino in fondo l’italica abitudine a stare con un piede in due scarpe e ad essere fedeli agli Stati Uniti senza, tuttavia, inimicarsi più del necessario il mondo arabo così a noi vicino.

Da questo rischioso ed a volte spericolato equilibrismo Roma ha in più di un’occasione tratto benefici che, con sfumature ed intensità diverse, sono ancora visibili in un mondo profondamente stravolto da quegli avvenimenti che prendono il nome di “Primavera Araba”. Gli eventi politico-sociali che stanno interessando il Nordafrica (e non solo) dal 2011 si scontrano con la tendenza dell’amministrazione USA ad essere meno interessata a ciò che avviene in Europa ed in Medio Oriente ed a volgere invece maggiormente lo sguardo verso l’Oceano Pacifico.

Per l’Italia, paese con molti interessi nel cosiddetto “estero vicino” nordafricano, può quindi profilarsi un nuovo ruolo, ora che gli Stati Uniti, seppur con fatica e troppo lentamente rispetto alle iniziali aspettative, rivolgono sempre più attenzioni e risorse a quell’Asia che, secondo molti analisti, sarà sempre più la vera culla economica del XXI secolo.

Il cosiddetto rebalancing o “pivot to Asia” è stato formalizzato ufficialmente da Obama nel corso del 2011 ed è stato ripreso dall’allora segretario di Stato Hillary Clinton (possibile prossima candidata democratica alle presidenziali?) in un famoso articolo apparso su “Foreign Policy” dal titolo America’s Pacific Centuryi del novembre dello stesso anno. Fu la Clinton a sottolineare l’importanza, nonché la necessità, di lasciarsi alle spalle più di un decennio speso tra Iraq ed Afghanistan volgendo lo sguardo proprio verso il Pacifico.

Ma quali implicazioni concrete potrebbe avere per l’Unione Europea, e per il nostro Paese in particolare, la riduzione dell’interesse di Washington per il vecchio continente e la conseguente riduzione della presenza militare a stelle e strisce in Europa e, più in generale, nel Mediterraneo ed in Medio Oriente?

Occorre dire che tale tendenza ha visto come protagonista la Germania (dagli anni ’50 principale avamposto della presenza USA in Europa) che, tra gli anni ’90 ed i primi anni 2000, ha assistito ad una forte riduzione della presenza statunitense sul proprio territorioii. Il venire meno della minaccia sovietica, la cosiddetta “war on terror” e l’impegno contro gli “Stati canaglia” hanno d’altronde dirottato sempre più risorse ed assetti da una “pacificata” Europa ad un “pericoloso” Vicino Oriente.

Oggi, con uno scenario strategico nuovamente mutato e con una opinione pubblica statunitense stanca di più di tredici anni di guerra, la strategia annunciata da Obama (e ripresa più volte dal segretario alla Difesa Hagel) prevede una progressiva riduzione anche della presenza navale. Da un’attuale ripartizione uniforme tra le flotte dell’Atlantico e del Pacifico, si dovrebbe giungere ad un auspicato 60 per cento entro il 2020 a favore di quest’ultimaiii.
Il nostro Paese sta quindi assistendo ad una diminuzione dell’interesse strategico di Washington per l’Europa, al quale si affianca la volontà da parte statunitense di diminuire gli oneri derivanti da una massiccia presenza in Medio Oriente. Anche quest’ultima area geografica, in prospettiva, è infatti destinata a suscitare meno interesse per gli Stati Uniti ora che il “nuovo” boom delle fonti energetiche non convenzionali, provenienti dal sottosuolo nordamericano, sembra garantire un aumento significativo della produzione interna di idrocarburi nel medio-lungo termine.

La presenza americana sul territorio italiano è tuttavia in controtendenza. Paradossalmente, infatti, l’Italia sta assumendo una maggiore importanza strategica relativa adesso che gli USA riducono la loro presenza in Europa e, contemporaneamente, spostano il baricentro delle forze rimaste verso sudiv, sfruttando in questo modo la geografia favorevole della nostra penisola affacciata nel Mediterraneo. Di fatto, la complessiva minore presenza americana nel nostro continente e in particolare come già anticipato in Germania, si traduce in una maggior presenza relativa in Italia, più vicina a quel Nord Africa che solleva ancora preoccupazioni al di là dell’Atlantico per la presenza di possibili santuari di Al-Qaeda (viene alla mente, ad esempio, l’uccisione dell’ambasciatore Stevens avvenuta a Bengasi nel settembre del 2012 e la generale area di instabilità che, tra Mali, Libia, Libano, Siria ed Egitto, abbraccia praticamente tutto il sud del Mediterraneo).

L’amministrazione Obama, in numerose occasioni, ha dimostrato di non volersi impegnare in maniera significativa con le proprie forze armate per non rischiare di aprire nuovi fronti con scenari imprevedibili (si pensi alla cosiddetta teoria del “leading from behind” durante l’intervento in Libia del 2011 ed al passo indietro compiuto sulla “linea rossa” da non oltrepassare nel caso delle armi chimiche siriane). Ha quindi mantenuto e potenziato quelle “guarnigioni” presenti nel nostro Paese (ad esempio a Sigonella, Vicenza ed Aviano) per eventuali interventi mirati e di limitata entità, come la protezione di sedi diplomatiche e di cittadini americani all’estero.

Questi fattori geopolitici non possono d’altronde non intrecciarsi con la situazione delle finanze pubbliche dei paesi occidentali. Recentemente due importanti think tank, lo svedese SIPRI ed il britannico IISS, hanno confermato quello che molti analisti affermano da diverso tempo ovvero che la riduzione dei bilanci della difesa nei paesi europei (ma anche negli Stati Uniti, sia con i tagli compiuti per evitare il sequester federale che con i minori stanziamenti necessari a causa della fine dell’impegno militare in Iraq e della fase conclusiva della presenza di Washington in Afghanistan) sta avendo importanti conseguenze per le diverse industrie nazionali del settore della difesa.
Parallelamente, invece, si è evidenziata una crescita delle spese militari effettuate dai paesi asiatici (Cina in testa) e da nazioni quali Turchia, Russia, Arabia Saudita, India, Brasile, Qatar e, in misura minore, Algeria e Libia. Senza voler analizzare i fattori e le ragioni politiche che hanno portato a queste decisioni, appare chiaro come questa situazione comporti l’inevitabile necessità da parte dei gruppi industriali occidentali (ed in particolare americani, da sempre leaders nel settore della difesa) che fino ad oggi si sono sempre concentrati sui cosiddetti mercati domestici di dover competere maggiormente sul mercato internazionale.

Al settore della difesa non può non affiancarsi un altro settore strategico come quello dell’energia. Come riportato nel documento “Strategia Energetica Nazionale” del 2013, il fabbisogno italiano di energia è soddisfatto per l’84% da importazioniv e, ad eccezione di quelle provenienti dalla Russia e dalla Norvegia, i principali esportatori verso il nostro Paese sono la Libia e l’Algeria in Nord Africa ed il Qatar in Medio Oriente. Anche gli scambi commerciali con il Nord Africa, benché rappresentino per il nostro Paese solo una piccola frazione sul totale, dai dati ufficiali risultano in costante crescitavi. Queste nazioni rappresentano quindi un’opportunità per le nostre aziende in molti settori, con buone prospettive di crescita soprattutto nel caso in cui la loro situazione politica interna dovesse stabilizzarsi. Inoltre, da parte nostra, esisterebbe la possibilità di tentare la riduzione del deficit accumulato nella bilancia commerciale con i paesi che esportano verso l’Italia grossi quantitativi di gas naturale e petrolio.

Appaiono così evidenti gli interessi italiani (commerciali oltre che energetici) in un Nordafrica e, più in generale, in un Mediterraneo destinati ad assistere alla riduzione della presenza degli Stati Uniti, con gli inevitabili effetti ed incognite che ne conseguono. È importante che l’Unione Europea e, nello specifico, il nostro Paese, facciano di tutto per consolidare quel soft power che ci consenta di mantenere e di incrementare una posizione che ci renda competitivi soprattutto nei settori definiti strategici. L’Italia deve quindi ricercare a tutti costi di presentarsi sulla scena internazionale con più incisività, facendo in modo che tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, agiscano come “Sistema Paese” e non come singole entità scollegate le une dalle altre. Istituzioni e complesso industriale nazionale devono pertanto, per utilizzare una metafora calcistica, giocare insieme la partita con lo stesso obiettivo e, soprattutto, indossando la stessa maglia.

* Davide Ghermandi è un ufficiale della Marina Militare ed attualmente presta servizio a bordo delle unità della Squadra Navale. Appassionato di tematiche relative all’intelligence ed alla politica internazionale, ha conseguito la laurea triennale e specialistica in “Scienze Marittime e Navali” presso l’Accademia Navale di Livorno e la laurea magistrale in “Studi Internazionali” presso l’Università di Pisa. Le opinioni espresse nell’articolo sono esclusivamente dell’autore e non rispecchiano quelle della Marina Militare, del ministero della Difesa o del Governo italiano.

NOTE:
1) H. Clinton, America’s Pacific Century, http://www.foreignpolicy.com/articles/2011/10/11/ americas _pacific_century, novembre 2011.
2) Si veda a questo proposito S. L. Pettyjohn, U.S. Global Defense Posture, 1783-2011, RAND Corporation, Santa Monica, 2012.
3) K. Parrish, US Following Through on Pacific Rebalance, http://www.defense.gov/news/ newsarticle.aspx?id=120186, 01.06.2013.
4) AA.VV., Overseas basing of US Military Forces, RAND Corporation, Santa Monica, 2013.
5) “Strategia Energetica Nazionale (marzo 2013)”, consultabile su http://www.sviluppoeconomico .gov.it/images/stories/normativa/ 20130314_Strategia_Energetica_Nazionale.pdf
6) “Rapporti economici e commerciali tra l’Italia e i paesi del Nord Africa”, Istituto nazionale per il Commercio Estero, consultabile su http://www.ice.it/statistiche/rapporti%20ITA_NordAfrica _def.pdf#page=3&zoom=auto,0,773.

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