L’aggregato di isole che oggi compone la Repubblica di Malta è stato, nella storia contemporanea, luogo di nascita di fieri combattenti e di arditi irredentisti, ossessione di comandanti e per lungo tempo paradiso strategico di un impero che non voleva crollare mai. Con la sua estensione di 316 km² e la sua favorevole posizione nel Mediterraneo centrale, questo piccolo arcipelago è stato croce e delizia per i signorotti di turno che si avvicendavano nel controllo strategico del Mediterraneo. Prima di passare alla disamina storica è bene ricordare al lettore quello che oggi è Malta. Dopo l’entrata nell’Unione Europea nel 1º maggio 2004, la piccola Repubblica ha adottato l’euro nel 2008. Primo ministro è attualmente Joseph Muscat, leader del Partito Laburista, eletto il 9 marzo dello scorso anno.
La valenza strategica di Malta durante la Seconda Guerra Mondiale
Impressa nella memoria collettiva è la mancata occupazione di Malta da parte dell’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, a cui taluni analisti e studiosi fanno risalire tutta una serie di insuccessi militari che porteranno il Regno di Italia alla totale disfatta in Africa settentrionale. Numi tutelari dell’impresa maltese, va ricordato, furono dal principio Ugo Cavallero e, tra i tedeschi, il Grandammiraglio Raeder e il Feldmaresciallo Kesselring. L’inizio del travagliato percorso che porterà alla stesura del piano, viene fatto risalire all’invasione dell’Etiopia nel 1935 da parte del Regno d’Italia; l’azione italiana scardinò il precedente assetto geopolitico nel Mediterraneo e segnò l’inizio del deteriorarsi delle relazioni con gli inglesi. L’Italia dovette cominciare ad ipotizzare un possibile conflitto contro i britannici e, in questa previsione, fiumi di carta vennero utilizzati per dimostrare la validità di questa o quella accortezza strategica che avrebbe potuto mettere alle corde i futuri nemici e la loro gloriosa Royal Navy, che, in confronto alla giovanissima Regia Marina, poteva vantare un ben più importante bagaglio di esperienze e vittorie. I vertici militari italiani, e soprattutto quelli della Marina, cominciarono a disquisire sulla priorità da concedere alla realizzazione delle portaerei, della dottrina della flotta in potenza e, infine, anche di Malta. Nel 1938, l’Ufficio piani di guerra dello Stato Maggiore della Marina partorì il documento D.G.10/A2, intitolato Studio generale per il trasporto di un corpo di spedizione in Africa settentrionale. Alla questione maltese veniva data la meritata importanza e, essendo stata riconosciuta la pericolosità dell’avanposto britannico nel Mare Nostrum, si poneva la situazione in questi termini: o prendere Malta, o mantenere quest’ultima sotto un costante bombardamento aereo. In entrambi casi, secondo il piano, il potenziale offensivo del piccolo arcipelago sarebbe sceso praticamente a zero, tutto a guadagno della sicurezza delle rotte italiane nel Mediterraneo. La Regia Marina, in verità, si dimostrò sempre titubante riguardo ad un’operazione anfibia contro Malta, propendendo per la messa in pratica della seconda ipotesi succitata. In aggiunta, non aiutarono nessuno, di certo, le valutazioni, spesso completamente errate, sull’effettivo potenziale delle difese della piazzaforte maltese. Questo fu il periodo segnato dalle fantasticherie, dalle bozze – fortunatamente rimaste tali – di piani irrealizzabili, che avrebbero coinvolto uomini poco addestrati e numerose navi da battaglia.
Scoppiata la guerra, mentre la Blitzkrieg di Hitler annientava la vetusta cavalleria polacca, la questione Malta tornò con prepotenza alla ribalta e lo fu fino a poche ore dall’entrata in guerra dell’Italia. Gli stessi britannici, il 10 giugno 1940, davano alla piazzaforte poche speranze e l’avevano sgomberata dai reparti navali e aerei in previsione di un violento attacco aereo dell’allora temuta Regia Aeronautica. L’11 giugno, invero, un timido attacco aereo ci fu e sette incursioni vennero portate a termine dai bombardieri e dai caccia italiani. Scarsa fu la reazione maltese, ed altrettanto blando fu l’esito dell’agguato. Dalla dichiarazione di guerra italiana, il traffico italo-libico subì pochi danni e poté procedere con relativa tranquillità fino al dicembre 1940, momento in cui i britannici si resero conto che nessuna ulteriore offensiva italiana sarebbe avvenuta nel breve periodo e, di conseguenza, cominciarono a far affluire a Malta sommergibili e aerosiluranti. Fu questo un periodo delicato per la Regia Marina, che registrò i primi affondamenti, ma ebbe termine con l’arrivo provvidenziale del X CAT (Decimo Corpo Aereo Tedesco) in Sicilia, che bombardò incessantemente la colonia britannica rendendola nuovamente inerme. In questo spezzone si inserisce la pianificazione dell’Operazione C.3, e cioè la presa di Malta. Ugo Cavallero ordinò personalmente la stesura del piano, che avrebbe visto la sua realizzazione nella primavera del 1942. Anche Hitler, seppur con poco entusiasmo, si lasciò convincere dal tentare l’impresa. È importante ricordare la differente impostazione strategica con cui i Germanici intedevano compiere l’operazione. Berlino propendeva per la messa a segno di un colpo di mano, un’azione lampo che avrebbe contanto sul fattore sorpresa, coordinata con il continuo ed intensivo bombardamento della Luftwaffe. Come è noto, l’Operazione C.3 (per i tedeschi Operazione Herkules) non fu mai messa in pratica, oscurata nell’estate del 1942 dalla straordinaria avanzata in Marmarica di Rommel, il quale, per non perdere lo slancio offensivo, statuì l’inizio della corsa ad Alessandria. Nel luglio del 1942, la Supermarina, conscia dei continui dilazionamenti dell’operazione, suggerì almeno l’occupazione dell’isolotto di Gozo, da effettuarsi senza l’aiuto tedesco. Il piano non venne preso in considerazione, soprattutto per la sua scarsa valenza in termini strettamente strategici. Dopo la sconfitta di Rommel in Cirenaica, l’isola di Malta assunse un ruolo molto più offensivo, favorita dall’allentamento della pressione esercitata dal II CAT; gli affondamenti sulle rotte italo-libiche non furono pochi, per poi tornare inevitabilmente a zero quando l’Italia perse definitivamente l’accesso ai porti libici, caduti in mano britannica.
Si può certamente affermare che il possesso di Malta avrebbe favorito la condotta dell’Italia in mare e soprattutto avvantaggiato il percorso dei convogli che collegavano la “Quarta sponda” alla madre patria. La mancata occupazione della piazzaforte dei britannici permise a quest’ultimi la composizione, nell’ottobre del 1941, della Forza K che diede tanto filo da torcere alla Regia Marina, nonostante fosse composta inizialmente da solamente 2 incrociatori leggeri (HMS Penelope, HMS Aurora) e 2 cacciatorpediniere (HMS Lance, HMS Lively). La piccola task-force inglese mise a segno svariati colpi, tra cui l’affondamento del convoglio “Duisburg”, avvenuto nel settembre del 1941. Il prezioso convoglio avrebbe dovuto rifornire di importanti mezzi le divisioni di Rommel, ma fu intercettato e spazzato via dalla Forza K, che poté fregiarsi dell’affondamento di 7 piroscafi e 2 cacciatorpediniere, in un momento delicato della guerra in Cirenaica; gli inglesi stavano preparando l’Operazione Crusader, con cui avrebbero rispedito le divisioni italo-tedesche nuovamente al confine con la Tripolitania. Da ricordare inoltre l’ulteriore successo, ad opera delle stesse unità, rappresentanto dall’affondamento della motonave cisterna “Iridio Mantovani”, avvenuto il 1° dicembre 1941. La ritirata in Tunisia delle divisioni dell’Asse incrementò le possibilità offensive di Malta che vide accostarsi anche la Forza Q, di stanza a Bona, in Algeria. L’azione congiunta di queste di due task-force, insieme agli attacchi condotti da sommergibili e aerei alleati, fece registrare la perdita di 154 piroscafi affondati e 138 danneggiati, su un totale di 344 prisocafi. Non è un caso, d’altronde, se quella tratta di mare si guadagnò il nome di “rotta della morte”. L’occupazione anglo-americana della Sicilia (Operazione Husky) segnò la fine del ruolo offensivo di Malta. Simbolica fu, in quel momento, anche la presa da parte degli inglesi di Pantelleria, originariamente intesa da Mussolini come la piazzaforte italiana che avrebbe dovuto controbilanciare la presenza britannica a Malta. In realtà, a differenza di questa, l’isola di Pantelleria non vide mai la realizzazione di adeguate difese costiere che potessero renderla una roccaforte alla pari della “concorrente” inglese. Rimasero dunque lettera morta i progetti riguardanti la piccola isola mediterranea, a cui non venne prestata l’attenzione che avrebbe dovuto certamente ricevere.
Malta nel dopoguerra e nella crisi di Suez
La fine del conflitto mondiale, porterà la Gran Bretagna a confrontarsi, volente o nolente, con la dottrina imperiale statunitense, ormai consolidatasi e forgiatasi attraverso la partecipazione alla guerra del 1939-45. Le due potenze, la prima “uscente”, l’altra prepotentemente in emersione, erano simili nella loro dottrina geopolitica e avrebbero potuto, inversomilmente, darsi serenamene il cambio nel ruolo di “difensori” degli interessi occidentali contro la minaccia bolscevica. Entrambi solidamente imperniati sulla conquista e sulla difesa del potere marittimo grazie ad una influente collaborazione aeronavale, i due imperi, nello scenario del dopoguerra, ebbero invece non poche difficoltà a far collimare i proprio interessi strategici ed economici. Si pensi all’insistenza statunitense nel convincere i britannici, nei duri anni della Guerra di Corea, a riconoscere l’assoluta legittimità di Taiwan come rappresentante della Cina alle Nazioni Unite; o, a parti invertite, fu di certo significativa la compartecipazione, nel 1953, degli Stati Uniti nella pianificazione e nella messa in pratica dell’Operazione Ajax, i quali sarebbero intervenuti in Iran per difendere gli interessi prettamente britannici, almeno nel breve periodo. Il controllo del Mar Mediterraneo, lungi dall’aver perso le sue preziose caratteristiche geo-strategiche, avrebbe avuto ancora un forte impatto nella politica estera di Londra che, almeno fino al 1982, avrebbe dimostrato la sua caparbietà nel perseguire una politica estera post-imperiale. Nel ristretto bacino mediterraneo, i mezzi con cui la “perfida Albione” avrebbe potuto esercitare la sua influenza, aerea e marittima, non erano molto cambiati, a guerra conclusa; Gibilterra, Cipro e Malta avrebbero continuato a servire la Royal Navy come basi ben attrezzate e in territorio sicuro. Nel 1952, inoltre, era stato assegnato all’ammiraglio inglese Mountbatten, nell’ambito della NATO, il Comando delle Forze Alleate del Mediterraneo (CINCAFMED) con sede proprio a Malta.
Poco tempo dopo il proficuo colpo di Stato in Iran, la Gran Bretagna si impegnò in una nuova aggressione, questa volta tutta mediterranea e dalle caratteristiche squisitamente post-imperiali precedentemente accennate; la difesa immediata dei propri interessi economici e strategici nelle ex-colonie, lontane dalla madrepatria, rendeva la politica albionica non tanto dissimile da quella del XIX secolo, ma la presenza di un nuovo e autorevole soggetto imperiale, al termine della guerra radicato nello stesso bacino mediterraneo, minò sostanzialmente il primato britannico in quell’area. La sfrontatezza e l’assoluta indipendenza che avevano sempre contraddistinto le azioni della Gran Bretagna erano sul punto di sbiadirsi, seppur con una certe lentezza. Tre anni dopo la fine della Guerra in Corea, una coalizione guidata da Inghilterra e Francia – col supporto di Israele – avrebbe attaccato militarmente l’Egitto di Nasser, “colpevole” di aver minato gli interessi economici e politici dei due paesi attraverso la nazionalizzazione della Compagnia del canale di Suez. L’isola di Malta avrebbe avuto un ruolo non secondario in questo nuovo conflitto, quasi alla pari di Cipro, i cui porti e le cui basi aeree avevano all’epoca una scarsa ricettività. In accordo con le nuove dottrine dettate dalla guerra moderna in mare, le portaerei sarebbero risultate determinanti nel trainare l’offensiva aeronavale. Alle operazioni parteciparono la portaerei HMS Eagle, la HMS Albion e la HMS Bulwark. Queste tre unità partirono da Malta il 30 ottobre, ufficialmente per una esercitazione, ma nei fatti avrebbero preso la rotta verso Porto Said. Le vecchie portaerei Theseus e Ocean si aggiunsero successivamente, salpando sempre da Malta. Anche la RAF di Luqa partecipò alle operazioni, portando attacchi congiunti con bombardieri partiti da Cipro e dalla Francia. Sebbene le potenze aggressori non riuscirono a conquistare la vittoria, le Marine britannica e francese riuscirono ad ottenere il proprio dominio nel bacino, forti della loro consistente presenza nel Mediterraneo; i combattimenti tra le unità di superficie non furono molti e la vittoria più considerevole per la coalizione anglo-francese si registrò nel Mar Rosso, con l’affondamento della fregata egiziana Domiat che, intimata di issare bandiera bianca, si lanciò coraggiosamente all’attacco contro l’incrociatore leggero britannico HMS Newfoundland e il cacciatorpediniere HMS Diana. Quest’ultimo diede il colpo di grazia alla sventurata unità, che affondò il 31 ottobre 1956. Sessantanove furono i superstiti dell’equipaggio della Domiat. La guerra si sarebbe conclusa con un cessate il fuoco che rappresentò un colpo ben assestato all’imperialismo britannico, che dimostrò di non avere più le carte in regola per dettare legge senza il consenso degli Stati Uniti. Eisenhower riportò, in questo senso, una netta vittoria in termini politici. La scorribanda anglo-francese sarebbe stata solamente il preludio al lento declino del ferreo controllo inglese delle sue zone di influenza nel Mare Nostrum; qualche anno dopo, Malta avrebbe dichiarato l’indipendenza.
Borg Olivier e l’indipendenza
Dal punto di vista strettamente politico, la situazione maltese del dopoguerra era ben delineata. Due partiti principali si contendevano il potere, il Partito Nazionalista, guidato dal 1949 da Giorgio Borg Olivier ed il Partito Laburista capeggiato dal carismatico Don Mintoff. Nel periodo coloniale la presenza britannica sull’isola fu, naturalmente, una costante. Numeroso era il personale impegnato quotidianamente nei porti e nelle basi aeree, e i servizi e le infrastrutture riservate agli inglesi non mancavano: tra i più rappresentativi gli ospedali Mtarfa e Bighi. Malta era dunque un “paradiso” strategico, la cui favorevole posizione nel Mediterraneo faceva gravare ancora di più il suo status di colonia. Nel 1964, però, l’equilibrio del meraviglioso “atollo” britannico venne sconvolto: il Partito Nazionalista era in quell’anno al potere ed il Primo Ministro Borg Olivier proclamò l’indipendenza. Nonostante ciò, si trattava in quel momento di una conquista politica più formale che sostanziale; Borg Olivier, in quello stesso anno, firmò un accordo decennale, che Mintoff definirà “fra schiavo e padrone”, con l’Inghilterra, la quale si sarebbe accollata la difesa militare dell’ex colonia fino al 1974. Inoltre, il governo nazionalista prese anche in considerazione un eventuale vincolo con la NATO. Nella fattispecie secondo Olivier, Malta non avrebbe potuto “fare a meno di agire per garantire la sua sicurezza o di prendere le necessarie precauzioni attraverso una associazione con la NATO”¹. Questi due provvedimenti furono evidentemente tutt’altro che “nazionalisti”, nonostante l’aggettivo di cui si fregiava il Partito di Olivier.
Il laburista Mintoff e il braccio di ferro con la Gran Bretagna
Nel 1971 la vittoria di Mintoff diede un nuovo impulso al conseguimento di una più concreta indipendenza politica ed economica. L’ideologia che il Partito Laburista seguì in quegli anni di fermento può considerarsi molto vicina alla socialdemocrazia di matrice occidentale, soprattutto dal punto di vista economico, ma decisamente più progressiva in politica estera e più consapevole della questione nazionale, come vedremo più avanti. Mintoff dichiarò in numerose occasioni la sua ammirazione per il “socialismo democratico” propugnato dal Berlinguer, che alla luce delle sue note dichiarazioni sull’“ombrello della NATO” sembra quasi paradossale. Il programma dei laburisti prevedeva infatti, nel lungo periodo, di allontanare dall’isola tutte le basi straniere e di liberare Malta dello status di piazzaforte ad uso e consumo dello straniero. Questo obiettivo non avrebbe visto la luce in breve tempo; conseguenza dell’“economia di guerra” instaurata da Londra durante il dominio coloniale, era che moltissimi lavoratori maltesi (circa 10.000) erano dipendenti delle autorità militari britanniche. Un repentino allontanamento di quest’ultime si sarebbe risolto in un’ondata insostenibile di disoccupazione. Mintoff prevedeva un’accettazione temporanea della presenza inglese ma al contempo la conversione dell’economia di guerra in una economia di “pace”, lo sviluppo dell’industria leggera, dell’industria cantieristica e dell’industria navale. Il conseguimento dell’indipendenza economica avrebbe comportato il naturale allontanamento di tutte le basi.
Il 14 agosto 1971, a pochi mesi dall’elezione, Dom Mintoff richiese ufficialmente il ritiro dall’isola del Comando Navale Sud della NATO. L’Inghilterra infatti prestava sovente le proprie basi alle navi dei paesi dell’Alleanza Atlantica, ed in particolare alla 6ª flotta statunitense, senza interpellare il governo maltese. Tutto ciò andava logicamente a detrimento dei propositi di indipendenza avanzati dai laburisti, ma la decisione avvenne anche in risposta ad una “classica” prova di forza in stile statunitense avvenuta qualche tempo prima. Il 24 giugno 1971, infatti, nonostante il Primo ministro maltese avesse dichiarato all’ambasciatore degli Stati Uniti la sua opposizione a far entrare nell’isola qualsiasi nave da guerra nord americana, approdò comunque a Malta la nave Empire State VI e successivamente anche il cacciatorpediniere USS McCoy, unità risalente al secondo conflitto mondiale. In questo lasso di tempo i laburisti cercarono di rafforzare i legami con gli altri paesi non allineati rivieraschi del Mediterraneo. In particolare i crescenti e positivi rapporti con la Libia di Gheddafi diedero l’opportunità alla propaganda occidentale di attaccare l’operato di Mintoff, il quale avrebbe, secondo i suoi detrattori, trascinato La Valletta nell’“orbita dei paesi arabi” e avrebbe fatto perdere di conseguenza all’isola le sue radici cristiane o “occidentali”. I risultati della nuova alleanza non si fecero attendere: nel luglio 1971 venne nominato il primo ambasciatore permanente libico a Malta.
Il governo laburista strinse anche legami molto forti con la Repubblica Popolare Cinese, privilegiando dunque le relazioni con quest’ultima rispetto all’altro gigante eurasiatico, l’Unione Sovietica, con la quale i rapporti non decollarono mai. In occasione del incontro in Cina del novembre 1977 tra Mintoff e Hua Guofeng, il Quotidiano del Popolo plaudì alla strenua battaglia di Dom Mintoff per l’indipendenza del suo paese contro le ingerenze occidentali. Già da tempo i due paesi avevano stipulato vari accordi commerciali ed economici. Nel 1972 la Repubblica Popolare Cinese concesse a Malta un prestito di 17 milioni di sterline (equivalente a 25 miliardi di lire italiane dell’epoca) a lunga scadenza e senza interessi.
Come già detto all’inizio di questo paragrafo, il governo laburista non avrebbe potuto allontanare gli inglesi per i danni economici a cui sarebbe inevitabilmente andato in contro. Mintoff propose quindi a Londra un rincaro del prezzo per l’affitto delle basi militari maltesi, dai vecchi 5 milioni di sterline annue a 14 milioni. La Gran Bretagna considerò la richiesta quasi oltraggiosa ed inizialmente assunse un atteggiamento di rifiuto, dichiarando che l’isola avesse ormai uno scarso valore strategico che non avrebbe compensato dunque l’aumento del prezzo si affitto. Sotto la pressione degli Stati membri della NATO, in particolare da parte degli Stati Uniti, che temevano l’utilizzo delle installazioni da parte di URSS e Libia, Londra decise di accettare la proposta, firmando il 25 marzo 1972 un accordo per l’affitto delle basi che sarebbe stato in vigore fino al 1979. Proprio nel ‛79, quindi, finiva formalmente l’avventura britannica a Malta; una cerimonia trasmessa dalla televisione nazionale seguì l’abbandono dell’isola da parte dell’ultimo marinaio britannico.
L’eredita di Mintoff e le prospettive geopolitiche di Malta
Dom Mintoff, fino alla sua scomparsa nell’agosto del 2012, ha continuato a sfruttare la sua carismatica influenza per indirizzare il popolo maltese verso delle scelte che qualcuno potrebbe definire “non allineate”. La campagna contro l’adesione all’Unione Europea è tra queste iniziative; il Partito Laburista, all’alba del nuovo millennio, si è sempre mantenuto su posizione “euroscettiche”. Lo stesso Joseph Muscat, oggi Primo ministro, nel 2003 dichiarava che l’eventuale entrata nella UE avrebbe portato ad una “erosione della competività”². Al contrario, il Partito Nazionalista, coerentemente con la propria antica politica di integrazione con l’occidente ed in sostegno dei suoi interessi, di fatto a discapito di quelli nazionali, ha fin dall’inizio proteso per l’ammissione di Malta nell’Unione. Il Partito Laburista, guidato da Muscat dal 2008 non ha mai rinnegato i cordiali rapporti con la Repubblica Popolare Cinese ed anche con la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Fecero scalpore nel mondo “politically correct” occidentale le sue condoglianze espresse per la scomparsa di Kim Jong Il e la presa di posizione in difesa della legittimità del lancio del satellite Kwangmyŏngsŏng-3, avvenuto nell’aprile del 2012. Dichiarazioni poi rettificate dallo stesso Muscat, ma riportate interamente dalla KCNA³. A fianco di queste corrette posizioni di amicizia e collaborazione con i paesi del BRICS e delle altre economie emergenti, poco efficace e poco indipendente appare oggi il ruolo di Malta nelle difficili situazioni cui vengono sottoposti i paesi sovrani del Mediterraneo; Muscat ha ribadito il suo riconoscimento della fantomatica “opposizione siriana” e dei suoi obiettivi, di fatto terroristici, contro il governo legittimo di Bashar al Assad; in accordo con la posizione aggressiva dell’imperialismo, il Primo Ministro maltese ha inoltre auspicato in Siria anche un “cambio di regime”⁴. Insomma, la posizione strategica di Malta dà ancora oggi al piccolo arcipelago la possibilità di giocare un ruolo geopolitico rilevante nel bacino mediterraneo. Un allontanamento progressivo da tutte quelle organizzazioni che mirano esclusivamente al soddisfacimento degli interessi “sovranazionali” (a discapito dunque di quelli nazionali) ed un infittimento delle relazioni economiche con i BRICS e con gli altri paesi non allineati, consentirebbe alla piccola Repubblica di assumere il ruolo di “ponte” tra l’Europa continentale e l’Africa settentrionale. Una posizione lungimirante di questo tipo, unita alla consapevolezza del potenziale strategico della propria terra, renderebbe l’ex colonia britannica una vera roccaforte a difesa degli interessi nazionali propri, dei popoli mitteleuropei, di quelli dell’Africa mediterranea e del Vicino Oriente, a detrimento delle ingerenze dell’imperialismo nel Mediterraneo, ancora oggi molto evidenti; si pensi alle numerosissime basi NATO nella nostra penisola, o anche all’importante base della RAF a Cipro. Questi importanti obiettivi richiedono una coscienza politica e nazionale che molto probabilmente né il Partito Laburista né quello Nazionalista acquisiranno mai. Si spera dunque che possa comporsi nell’immediato futuro una nuova compagine politica, capace di mettere al primo posto l’interesse del popolo maltese, attenta al sano sviluppo dell’economia nazionale affinché essa non precipiti nell’anarchia propria del capitalismo e nella dipendenza dallo straniero. In sostanza, bisogna continuare il percorso di indipendenza intrapreso nel secolo scorso, in accordo con il progetto di multipolarismo che la situazione odierna richiede insistentemente.
Note
1. citato in I sindacati di Malta contro ogni impegno con la NATO, “l’Unità”, 28 novembre 1968, pg. 11
2. citato in http://www.nytimes.com/2003/03/10/world/malta-voters-narrowly-approve-joining-european-union.html
3. Cfr. http://www.kcna.co.jp/item/2012/201204/news12/20120412-08ee.html
4. Cfr. http://www.maltatoday.com.mt/en/newsdetails/news/national/On-emotive-migration-Muscat-still-supports-pushbacks-to-safe-ports-20130626